Le favole di Leo

Cosa c’entra la morale con Leonardo da Vinci? Vi chiederete. C’entra eccome. Infatti il grande genio era anche uno scrittore di favole morali come quella dell’albero di pesche invidioso del noce o quella del ragno che si barrica nel buco della serratura, fortezza secondo lui impenetrabile, e ne rimane schiacciato.

Tra le innumerevoli opere letterarie e scientifiche conservate nei famosi codici leonardeschi, si trovano infatti molti aforismi, apologhi, brevi racconti e favole morali. Sono quindi un significativo esempio della capacità di Leonardo di parlare di temi universali con un linguaggio ricco e pungente. Nelle favole di Leonardo la protagonista assoluta è la natura nei suoi vari elementi e con i suoi diversi abitanti (acqua, aria, fuoco, pietre, piante e animali), in tutte le sue forme, reali e mitologiche, che prende la parola per narrare, insegnare, istruire e divertire. L’uomo invece è quasi un intruso, ovvero è il guastatore di ogni cosa creata. «La vera saggezza, per Leonardo, nasce dalla conoscenza della Natura e da una vita in armonia con essa». Abbiamo raccolto alcune favole (le abbiamo leggermente arrangiate nella forma) e le affianchiamo a ognuna delle serate. Ogni sera un’amica o un amico delle Primavere salirà sul palco a leggerla.

La rete e i pesci

…fu presa e portata via dal furor dei pesci

Sul fondo del mare si riunirono centinaia di pesci. Erano stanchi che fratelli, figli, amici cadessero continuamente tra le maglie delle reti che i pescatori ogni notte calavano. “Il guaio è che le reti non si vedono. Nell’oscurita’ della notte anche il fondo del mare perde i contorni. E’ impossibile sfuggirvi” “Niente è impossibile se restiamo uniti!” Era l’acciuga, che più di tutti aveva visto sparire migliaia di parenti.
“Cosa intendi dire?” chiesero gli altri “Che, se stiamo uniti, moriremo più felicemente? Che sciocchezza! Se riempiremo le reti tutti insieme faremo contento solo il pescatore! Siamo così furiosi di tanto scempio“
“E’ proprio questa rabbia che servirà alla nostra salvezza” Non aveva terminato di parlare, che la grossa rete calata nella notte si sollevò e tutti i pesci ci finirono dentro “Non disperate”, incitò l’acciuga”, “Insieme! Insieme nuotiamo controcorrente. Tutti insieme!” Tutti i pesci nella rete obbedirono: la rete fu presa e portata via dal furor dei pesci

 

La pulce e il cane

La quale impresa dopo molto sudore, trovò esser vana

Un cane era solito dormire sul tappeto di lana di un agnello. Una delle sue pulci, attirata dalla pelliccia morbida pensò “Ummm, che buon odore ha questa lana, così soffi ce e morbida:di certo è un posto migliore per spassarmela. Sarò lontana dalle unghie e dai denti di questo cagnaccio che non sopporta che mi attacchi a lui” Senza pensarci due volte abbandonò il cane e si tuffò nella folta lana del tappeto, decisa di raggiungere la pelle “E’ un’impresa faticosa: non pensavo fosse così difficile arrivare alla radice dei peli”.
Nonostante gli sforzi, la quale impresa dopo molto sudore, trovò esser vana, la pulce dovette rinunciare: i peli dell’animale erano spessi e non lasciavano spazio per arrivare e attaccarsi alla pelle. “E’ inutile che insista. Si stava meglio prima!” sbuffò infastidita e decise di tornarsene dov’era prima. Sorpresa! Mentre lei, era indaffarata nel pelo morbido dell’agnello, il cane, si era svegliato e già correva lontano!
La pulce pentita, amareggiata, dopo pianti e lamenti, morì di fame

L’ostrica e il Topo

Il ratto fatto disegno di mangiarsela, la fa aprire…

Un ostrica si ritrovò , insieme ad altri pesci, nella casa di un pescatore che stava poco lontana dal mare. “Qui si muore tutti!” pensava guardando i compagni di sventura che boccheggiavano nella rete. Vide passare un topo: “Ehi, Topo! aiutami, portami al mare. Non voglio morire!” Il ratto fatto disegno di mangiarsela, la fa aprire: “farò quel che mi chiedi, ma ti devi aprire, altrimenti come faccio a portarti fin laggiù?”
L’ostrica aprì il suo guscio mostrando il suo frutto delizioso. Fu un attimo: il topo si gettò per morderla, ma quella, ZAC, si richiuse imprigionandogli la testa. “Aiuto, aiuto..”strillava il topo dimenandosi.
La gatta lo udì e se lo mangiò

La formica e il chicco di grano

….fai tanto piacere di lasciarmi fruire il mio desiderio del nascere…

Una formica trovò un bel chicco di grano. “questa sì che è fortuna! E’ il più grosso chicco di grano che mai formica abbia visto!”
Appena l’afferrò, il chicco gridò implorando: “ Formica ti prego, fai tanto piacere di lasciarmi fruire il mio desiderio del nascere, lascia che ne assapori la gioia : mi farò in cento per ricompensarti”
La formica l’accontentò: seppe attendere con pazienza e da quel chicco nacque una grossa spiga dorata che generosamente la ricompensò

Il ragno e la serratura

Il ragno, credendo trovar requie nella buca della chiave…

Un ragno esplorando la stanza, scorse un buco della serratura. Che rifugio ideale!
Riparato e al sicuro, avrebbe potuto guardare fuori senza esser visto, ordire le sue trame e le sue reti Il ragno, credendo trovar requie nella buca della chiave, decise che quella sarebbe stata la sua tana : foderato da tanto ferro quel buco sembrava una fortezza inespugnabile che lo faceva sentire straordinariamente forte.
Già sognava i fili che avrebbe tessuto e gli agguati che avrebbe fatto alle prede ignare.
Ma ecco una chiave tintinnò, s’infilò nel buco della serratura e… lo schiacciò

Favola saggia

Favola della lingua morsa dai denti

La pietra sciocca

infra i popoli pieni di infiniti mali

Sul limitar di un delizioso boschetto a ridosso di una strada di sassi, lisciata dall’acqua del torrente, stava una pietra bella e lucente, che beata godeva di tanta pace attorniata da un tappeto di erba e di fiori dai mille colori. Nonostante tanta bellezza, la pietra passava tutto il tempo a guardare la strada fatta di sassi: “Chissà come si sta laggiù? Qui è tutto bello, ma mi sento isolata, sola. Laggiù potrei abitare con le mie sorelle. Guarda quante pietre! Quasi quasi mi faccio cadere e rotolo tra loro!”
Così, spinta dall’acqua riuscì a raggiungere le compagne sassose e concluse il tra loro il viaggio tanto desiderato.
Ma, ahimè! Non fu bello quello che accadde: ruote di carri, zoccoli di cavalli, piedi dei viandanti non le davano tregua. Ora rotolava, ora era pestata; addirittura si trovo’ scheggiata, coperta di fango e di sterco di bestia. Inutilmente guardava lassù, il posto da dove era partita, tra le delizie fiorite nella sua solitaria e tranquilla pace.
Troppo tardi!
Questo accade a quelle persone che lasciano la vita tranquilla e solitaria, nella natura e nella pace. Per venire ad abitare nelle città, infra i popoli pieni di infiniti mali

La carta e l’inchiostro

vedendosi la carta tutta macchiata dalla oscura negrezza dell’inchiostro…

“Dammi una valida ragione del perché mi disprezzi tanto?” la domanda dell’inchiostro sembrava cadere nel vuoto.
Il foglio di carta, fiero della propria bianchezza, non si rassegnava: “Tu sei nero, di una nerezza insopportabile! Ogni volta che ti avvicini mi imbratti : guarda! Guarda sono tutta macchiata!” Vedendosi la carta tutta macchiata dalla oscura negrezza dell’inchiostro, continuò a lamentarsi. L’inchiostro, non potendone più, cominciò a lasciar cadere parole e segni.
“Smettila, detesto tanta nerezza! Il mio candore: tu mi togli candore!”
“Carta, riponi tanta ingratitudine: grazie alle parole e ai segni, che, come dici , imbrattano tanta bianchezza, grazie a queste macchie d’inchiostro, tu puoi essere conservata, custodita e apprezzata. Tu diventi preziosa.

La scimmia e l’uccellino

È detta per quelli che, per non castigare i figlioli, capitano male

Accadde che una scimmia nel suo girovagare solitario, scorse tra le fronde di un albero un nido di uccellini. Curiosa e felice della scoperta si avvicinò: molti di loro che sapevano volare, fuggirono spaventati. Solo uno, il più piccino, non ci riuscì: la scimmia piena di gioia allungo’ le sue mani ruvide, lo prese e lo portò nella sua tana.
Come lo guardava! Come gli piaceva! Un vero tesoro! Innamorata di quel batuffolo cominciò a baciarlo e ribaciarlo. Lo baciava e lo stringeva così ardentemente che …lo soffocò.
Questa favola è’ detta per quelli che, per non castigare i figlioli, capitano male, finiscono con l’ammazzarli per il troppo amore

Il pesco e il noce

‘l peso di detti frutti lo tirò diradicato e rotto alla piana terra

Un albero di pesco non si dava pace: il noce che cresceva poco lontano, ogni anno faceva una grande quantità di frutti, molti di più di quanti ne produceva lui.
“Quel noce è davvero ricco. Non riesco a rassegnarmi all’idea di essere meno di lui. La mia prossima fioritura sarà di certo molto abbondante e ce la metterò tutta per superalo” Tanto pensò e tanto fece: la primavera lo coprì di fiori che fruttarono come mai s’era visto. Il pesco era carico di succosi frutti che pendevano dai rami.
Ma, ahimè l’albero invidioso non aveva ponderato un fatto fondamentale:il peso delle pesche non era quello dello noci! ‘l peso di detti frutti lo tirò diradicato e rotto alla piana terra

La farfalla e il lume

Così io fo a chi ben non mi sa usare

Una sera, avvolta nel buio, una farfalla variopinta e vagabonda andava chiacchierando tra sè e sè, quando vide in lontananza un lume che brillava. Incuriosita da tanto sfavillare, subito lo raggiunse: che bello! Avvicinatasi alla fiamma, si mise a danzare in cerchi leggiadri, incantata da tanta meraviglia. Non contenta di ammirarla, la farfalla si mise in testa di fare con lei quello che faceva di solito coi fi ori odorosi: si fece coraggio e dopo un giro, passò sopra la fiamma, attraversandola. Si ritrovò, stordita, ai piedi del lume e si accorse, con stupore, che gli mancava una zampa e che la punta delle ali era bruciacchiata. – Che cosa mi sarà successo? – si chiese, senza riuscire a trovare una ragione. Com’era possibile che da una cosa tanto bella, gli potesse venire alcun male? Dopo aver ripreso un po’ di forze, con un colpo d’ali si rimise in volo. Puntò verso la fiamma, l’attraversò e subito cadde, bruciata, nell’olio che la alimentava – “Maledetta luce – mormorò la farfalla in fi n di vita. – Io credevo di trovare in te la mia felicità, e invece ho trovato la morte. Ora piango inutilmente il mio matto desiderio: ho conosciuto troppo tardi e a mie spese, la tua natura pericolosa”. – Povera farfalla – rispose il lume. – Così io fo a chi ben non mi sa usare

La pianta superba

L’un lo mantiene dritto, l’altro lo guarda dalle triste compagnie

Una bella pianta, che cresceva rigogliosa e fi era della sua chioma, mal sopportava che accanto a sè fosse piantato un palo dritto, secco e vecchio
“Palo, mi stai troppo addosso e non mi piace la tua vicinanza. Non puoi farti un po’ più in là?” il palo non rispose. Non contenta la pianta si rivolse a una siepe di pruni secchi che la circondava: “ dico anche a te: non è certo un bel vedere tanta sterpaglia accanto a me!” ma anch’essa non rispose.
Quell’albero superbo, non aveva capito che l’un lo mantiene dritto, l’altro lo guarda dalle triste compagnie